02 Feb Inducements (commissioni e incentivi): cosa sono
Negli ultimi mesi è tornato alla ribalta il tema degli “inducements“, questione sempre molto dibattuta e controversa, a seguito della proposta della Commissione Europea di arrivare in futuro ad un totale divieto, per banche ed intermediari finanziari, nel percepire commissioni, provvigioni ed incentivi sui prodotti finanziari collocati alla clientela.
Proprio in queste settimane, la commissaria europea per i Servizi finanziari Mairead McGuinness ha manifestato il suo sostegno verso il divieto del meccanismo delle retrocessioni nell’ambito della futura proposta legislativa “Eu Retail Investments Strategy”, il cui obiettivo principale è migliorare il livello di imparzialità nell’esercizio della consulenza finanziaria. L’abolizione modificherebbe definitivamente il modello di business della consulenza bancaria tradizionale (ancora largamente prevalente in Europa, ad eccezione di Regno Unito ed Olanda), secondo la Commissaria UE in modo più favorevole ai risparmiatori (www.ft.com/content/f0084eb7-065f-4318-a597-0ab3ad0a01bb).
Gli inducements sono qualificabili come i compensi, le retrocessioni, le commissioni o le prestazioni pagate o ricevute da una banca o un intermediario in relazione alla prestazione di un servizio di investimento.
Un esempio pratico: la banca raccomanda e colloca un prodotto finanziario della società di investimento “X” (ad esempio un fondo di investimento, una polizza vita, ecc.) ad un proprio cliente; la società di investimento “X” riconoscerà quindi alla banca una provvigione o una commissione per il servizio, per aver distribuito un suo prodotto presso la clientela.
Il problema principale legato agli inducements nel comparto della consulenza finanziaria è il conflitto di interesse intrinseco che essi generano. Operatori di settore (banche, intermediari, compagnie assicurative) chiamati a raccomandare soluzioni di investimento che retrocedano commissioni a loro stessi, possono ingenerare dubbi ed opacità di fondo sulle reali motivazioni poste alla base delle indicazioni fornite al cliente, incertezza fondata sul labile confine ed equilibrio tra – lato cliente – raccomandazioni imperniate sull’efficienza delle soluzioni di investimento e – lato intermediario – sull’adeguatezza del ritorno in termini di commissioni e incentivi.
Riguardo all’Italia e secondo una recente indagine FABI, negli ultimi anni il peso delle commissioni nei bilanci bancari è salito ad oltre 40 miliardi di euro ovvero oltre il 50% dei ricavi totali, a significare quanto questa voce sia divenuta sempre più preponderante nel business degli istituti e potenzialmente fonte sempre maggiore di preoccupazione sul bilanciamento tra interessi del cliente/risparmiatore e l’esigenza di ricavi/utili degli intermediari finanziari.
A difesa del modello di remunerazione tradizionale basato sugli inducements
, si è schierata tutta l’industria bancaria, finanziaria ed assicurativa europea, per la quale l’eliminazione di commissioni e retrocessioni impoverirebbe la qualità dei servizi offerti e renderebbe la consulenza finanziaria un servizio elitario.
A difesa della proposta di divieto, il settore della consulenza finanziaria indipendente che da anni chiede a gran voce un passo deciso verso la trasparenza e l’imparzialità nei servizi di investimento, l’eliminazione di tutti i conflitti di interesse tra banche/intermediari e le società di investimento che danneggiano l’interesse del cliente, l’introduzione di un sistema di remunerazione chiaro ed inequivocabile basato su una parcella predefinita tra cliente e consulente.
È fondamentale ricordare come la normativa MIFID II attualmente in vigore, sancisca dal 2019 l’obbligo per ogni banca e intermediario finanziario di redigere gratuitamente e mettere a disposizione dei clienti, un’informativa o rendiconto ex post dei costi e degli oneri connessi alla prestazione di servizi di investimento e accessori. Il cliente potrà in questo modo prendere consapevolezza e valutare l’impatto di costi ed oneri relativamente ai propri servizi di investimento.